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Bla, bla, bla: la svolta dei cialtroni

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Bla, bla, bla: la svolta dei cialtroni … e noi ridiamo.

E noi ridiamo.
Si abbrevia il tempo rimasto per dare un governo al ‘paese di cuccagna’, e già lo sbaraccamento del Parlamento è iniziato quando il Carnevale, iniziato da un pezzo, non è ancora finito. E così, mentre i clown di sempre se ne vanno con il trucco sfatto e le mani sporche, s’insediano i nuovi, cialtroni più che mai, sperando di arraffare le briciole di quel ‘panem et circensis’ che quegli altri si erano spartiti prima di loro, come il nuovo che ‘vale la pena’ d’essere messo in scena, spacciando per ‘politically corrected’ quel che corretto non è, e neppure ‘onestly corrected’.
E lo fanno come fanno i cialtroni, senza avere neppure uno straccio di canovaccio tra le mani, quel che pure serviva ai commedianti di passata memoria per tirare avanti. Ma adesso che necessita un copione autentico su cui organizzarsi, affabulare il nuovo pubblico degli ultimi, ècco che il canovaccio è diventato lo straccio da cucina (leggi del cesso), o anche quello per lavare in terra che la sguattera cialtrona lascia sul pavimento in mezzo ai piedi.
Ma lo spettacolo comunque deve andare avanti, la svolta sembra avere inizio, solo che al posto del rinnovamento, il cambio di marcia, la trasparenza all’insegna dell’onestà, della giustizia giusta, delle prospettive future dell’economia che a gran voce il nuovo capocomico ha promesso di portare in scena, non corrisponde alle pretese aspettative del pubblico: preparazione, capacità, trasparenza, onestà (paroloni), e che si rivela moralmente scorretto nei confronti dei tanti (leggi tantissimi) avventori dell’ultim’ora.

E noi ridiamo.
A teatro si sa, se gli attori scambiano le pagine del copione e fanno confusione con le parole affabulando gli spettatori, di fatto qualcuno ha pensato di poter imbrogliare le carte. Magari pensando di poter spacciare gli insulsi dibattiti di un condominio di cialtroni, che non sta in piedi neppure a volerlo attaccare con la colla, con le ‘Baruffe chiozzote’ di Goldoni. Ma è facile in tempi tecnologici come quelli correnti, venire a capo della ‘verità’; per quanto molto aiuta il ‘taglia incolla’ o anche il ‘copia incolla’, col rischio di finire tutti per essere la brutta copia di qualcun altro e di qualche altra cosa.
È allora che il pubblico invogliato ad acclamare la nuova scena (leggi elettorale e governativa), fa volare gli stracci insieme ai fischi, ai bitorsoli di cavoli e frutte marce, al posto degli applausi. Ed a me sembra che di brutte (leggi pessime) figure ne abbiamo già fatte abbastanza. Può non sembrare così, del resto il pubblico (gli italiani) accorso sembra preferire questa sorta di spettacoli, e mi piace pensare che lo faccia perché, tutto sommato, pensa di vivere sempre a Carnevale, o magari s’illude che la festa non abbia mai a finire.
Del resto pare che ‘farsi del male’ sia entrato nel costume della gente fin dal biblico ‘muoia Sansone con tutti i Filistei’, quindi già da qualche tempo. Direi che nel tempo l’esempio abbia riscosso davvero molto successo. Indubbiamente lo spettacolo offerto oggi è a superato quel livello, ma l’orrore di un’altra strage incombe alle porte, anche se il pubblico che s’accalca nella fuga (leggi Bataclan), non sembra accorgersene. Che aspettino il Diluvio?
Forse, ma lì dove lo spread sale e la borsa scende, la soglia di povertà non è più una un limite ma è diventata uno stazione di raccolta (disoccupati, barboni, affamati, profughi, indesiderati, diversi ecc.) che aspettano un treno, per dove? Non sembra anche a voi la scena di un film che abbiamo già vista? È così, non serve appurarla, sarebbe un ‘copia incolla’ di estrema desolazione.
Solitamente se lo spettacolo non piace, il pubblico ‘pagante’ si alza ed esce dal teatro, e in molti credo (leggi benestanti, industriali, gotha) sono pronti a partire per altri lidi (leggi paradisi fiscali), lasciando a chi resta neppure le briciole di quella messa in scena che prometteva miracoli. Ma come si diceva il pubblico vuole divertirsi, allora anche il ritorno alla ‘Corrida’ vista alla TV può far ridere, ma rimane un riso amaro, sarcastistico, volgare, la presa in giro di chi non ce l’ha fatta, di chi sopravvive a stento, di chi non ce la fa a sopravvivere.

E noi ridiamo.
Ancora fra gli scrittori europei, Joseph Addison – che Luigi Pirandello cita en passant nel suo scritto sull’umorismo – fu il primo a riflettere e scrivere su cosa fossero la Verità (truth) e la menzogna o falsità (falsehood), e quali fossero i loro rapporti con lo ‘humour’ e il riso (laughter). Il 10 aprile 1711, in un passo del numero 35 del giornale «The Spectator», con l’intento di disegnare una genealogia giocosa, Addison infatti aveva scritto:
«Fondatrice della famiglia del Ridicolo fu la Verità, che diede nascita al Buon Senso; questo generò lo Spirito (wit), che sposò una donna di un ramo collaterale, chiamata Lietezza e ne ebbe un figlio: l’Umorismo. Esso è dunque il componente più giovane di quella illustre famiglia; e, discendendo da genitori dalle disposizioni così diverse, ha un carattere instabile e mutevole. Talvolta lo si vede assumere atteggiamenti gravi e solenni, sicché appare ora serio come un giudice ed ora buffo come un saltimbanco. Ma egli tiene molto della madre (la verità) e, indipendentemente dal suo stato d’animo, non manca mai di far ridere la compagnia.»
Ma c’è qualcuno che ride più degli altri, perché il riso dello stolto ce l’ha stampato in faccia, e non riesce a fermarlo, ride anche quando c’è da piangere e non si accorge che in fondo sta ridendo della sua vanità, dell’arroganza tipica dell’inetto qual è, incolpando gli altri senza riflettere di quello ch’egli non arriva neppure a pensare; e dire che avrebbe voluto (e in fondo lo vuole ancora), essere il primo della classe (leggi premier) ad ogni costo.
Che cosa avrà mai da ridere si dicono gli spettatori, se della commedia carnascialesca che si voleva rappresentare, assistono interdetti alla pantomima farsesca di un Carnevale di fantocci, cialtroni come non si era mai visti prima, che non fanno ridere nessun’altro che se medesimi, e che (acciuffato il malloppo) se la danno a gambe, quando correndo a perdifiato il popolino (falsamente populista) li insegue come impazzito dietro alle promesse che non hanno mantenuto, certo che un giorno li prenderà per bruciarli sul rogo di un ultimo Carnevale.

E noi (filosofi nel tempo) ridiamo all’atroce spettacolo.

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